La psicologia positiva e la sua applicazione

Martin Seligman, lo psicologo che teorizzò il concetto di impotenza appresa (1975), assunse la  guida dell’American Psychological Association nel 1998. Egli dichiarò che come Presidente l’obiettivo principale del suo mandato era di centrare l’attenzione sullo studio scientifico del benessere. In un teorico continuum con le gravi malattie mentali sulla sinistra e il funzionamento ottimale individuale sulla destra, un’ipotetica distribuzione della popolazione disegnerebbe una curva a U rovesciata. Seligman ribadì che la ricerca fino ad allora si era interessata alla parte sinistra, ignorando per la maggior parte del tempo la porzione destra della campana, popolata dalle persone in buona salute.
Sebbene il discorso inaugurale di Martin Seligman per la sua elezione a presidente dell’American Psychological Association possa essere considerato l’inizio formale di questa prospettiva, il termine “Psicologia Positiva” fu utilizzato dal suddetto e da Mihaly Csikszentmihaly per la prima volta nel 2000 all’interno di un articolo della rivista American Psycologist.
Riconoscendo che nella salute mentale c’è di più che mera assenza di malattia, questo approccio si è dedicato allo studio rigoroso dei punti di forza, del benessere, del funzionamento ottimale (Duckworth, Steen, & Seligman, 2005). Coloro che si definiscono “psicologi positivi” si focalizzano sull’ aumento del benessere e della qualità della vita dell’uomo, studiandone le qualità, i comportamenti, le attitudini e le emozioni positive, verificando e applicando queste conoscenze con rigore scientifico.

La psicologia positiva non intende soppiantare la comune pratica psicologica, ma vuole essere un’importante aggiunta ad essa: deve essere intesa come un supplemento, un’altra freccia in faretra, e non un rimpiazzo per l’altra tendenza (Seligman & Pawelski, 2003). Molto prima della nascita della psicologia positiva, grandi filosofi (Socrate, Platone, Aristotele) e grandi menti della psicologia (Freud, Jung, Adler, Frankl, Rogers, Maslow) proposero teorie sulla vita degna di essere vissuta, sul piacere, sulla pienezza, sulla salute e sulla realizzazione (Duckworth et al., 2005; Ryff, 2003). Inoltre, esistono da tempo studi empirici sull’adattamento, sulla resilienza, sulla prosperità, sulla spiritualità e sulla crescita personale (Aspinwall & Tedeschi, 2010). Il contributo ed il merito della psicologia positiva sta proprio nel riunire queste disparate aree di indagine sotto un unico ombrello (Peterson & Park, 2010) e fornire una mappa concettuale attorno alla quale organizzarsi.

Con ciò, nessuno intende affermare che l’attenzione per il funzionamento ottimale sia nuovo nella storia della psicologia. In particolare si deve alla psicologia umanistica statunitense agli inizi degli anni ’60 la proposta di una “terza forza”, opposta al Comportamentismo e alla Psicoanalisi, i cui obiettivi fossero lo sviluppo del benessere e la realizzazione personale. In questa prospettiva si collocano il lavoro di Abraham Maslow e il pensiero di Carl Rogers. In particolare, Maslow rilevò alcuni limiti della psicologia tradizionale, meglio attrezzata per identificare le patologie dei pazienti che le potenzialità degli individui. Fu invece Rogers a introdurre il concetto di “funzionamento ottimale della persona” e di “tendenza attualizzante” per definire la tendenza dell’essere umano ad esprimere se stesso e le proprie potenzialità, al punto che la “Terapia centrata sul cliente” ha la funzione di favorire la creazione delle condizioni terapeutiche affinché ciò avvenga. È indiscutibile che la riattualizzazione dei costrutti proposti dalla psicologia positiva abbia beneficiato dell’immenso contributo di questi illustri predecessori, tanto quanto dell’importanza del movimento di Salute Mentale Positiva proposto da Marie Jahoda alla fine anni ’50.

Passando invece agli aspetti applicativi, un “intervento psicologico positivo” (PPI) è definito come “un intervento, una terapia o un’attività, rivolta primariamente ad aumentare i sentimenti positivi, i comportamenti positivi o le cognizioni positive, piuttosto che puntare a migliorare la patologia o sistemare pensieri negativi e pattern di comportamenti disfunzionali” (Sin & Lyubomirsky, 2009).
È stato inoltre identificato un gruppo d’interventi che possono anche essere utilizzati senza coinvolgimento di un professionista, semplicemente attraverso autosomministrazione. Ci si riferisce a questi come “attività positive” (PAIs) e sono definiti come “esercizi relativamente brevi, autosomministrabili e non stigmatizzanti, che promuovono sentimenti, pensieri e atteggiamenti positivi piuttosto che puntare direttamente ad aggiustare sentimenti, pensieri e comportamenti patologici” (Layous et al., 2011).

Esempi di due PAI ampiamente testati, che potrebbero essere tranquillamente utilizzati in sedute di counselling o coaching, sono un intervento sulla gratitudine, “Tre Cose Buone”, e un intervento per l’ottimismo, “Tu al Meglio nel Futuro”. L’esercizio “Tre Buone Cose” chiede ai partecipanti di “scrivere tre cose che sono andate bene e perché pensiamo siano andate bene, ogni notte per una settimana” (Seligman, Steen, Park, & Peterson, 2005). L’esercizio “Tu al Meglio nel Futuro” istruisce le persone in questo modo: “Pensa alla tua vita nel futuro. Immagina che ogni cosa sia andata al meglio di come potesse andare. Hai lavorato sodo e sei riuscito a raggiungere tutti gli obiettivi di vita che ti eri fissato. Pensa a questo come la realizzazione di tutti i tuoi sogni. Ora scrivi quello che hai immaginato” (King, 2001).

Interventi positivi come questo, affianco ad esercizi pensati per promuovere la gentilezza, la generosità, e la mindfulness (Layous et al., 2011), sono stati testati in esperimenti randomizzati con gruppo di controllo. Ad esempio, un workshop di sette settimane centrato sulla “meditazione sulla gentilezza amorevole” ha dimostrato di aumentare le emozioni positive, che a loro volta hanno reso disponibili maggiori risorse cognitive, sociali e fisiche, facilitando un aumento della soddisfazione verso la vita e una diminuzione dei sintomi depressivi (Fredrickson et al., 2008).

I risultati di studi sull’efficacia sono stati promettenti: i curatori di una meta-analisi su 51 studi randomizzati e controllati di interventi positivi hanno separato i dati degli studi su individui sani e sulla popolazione normale da quelli sui clinicamente depressi (Sin & Lyubomirsky, 2009). Sono stati riscontrati, in media, moderati effect sizes anche per gli interventi positivi su popolazione clinica (r= .29 per quanto riguardo l’aumento di benessere, r= .31 per quanto riguarda la diminuzione di sintomi depressivi).

Riassumendo, la psicologia positiva non è una branca distinta della psicologia ma una serie di concetti e principi che andranno integrati al corpo di conoscenze psicologiche tradizionali. Essa studia i fattori e i processi che concorrono al benessere psicologico delle persone e al loro funzionamento sia come individui sia come membri di un gruppo e di istituzioni; il focus è sulle risorse dell’individuo, sulle sue abilità, sulla sua capacità di reagire agli eventi stressanti e su tutti gli aspetti che determinano il benessere della persona.