Ruminare ovvero il circolo vizioso della depressione

In psicologia, con il termine “ruminazione” ci si riferisce all’attività mentale che consiste nel continuare a pensare e ripensare a uno stesso argomento in modo stereotipato, rigido, astratto e, in definitiva, inconcludente.
La ruminazione è una funzione della mente molto simile a quella del riflettere sui problemi, ma ha importanti differenze e particolarità che la rendono altamente patogena (cioè generatrice di patologia). Chi “rumina” si concentra principalmente sui problemi e sulle difficoltà di una situazione e non sulla ricerca di una possibile soluzione; riflettere su un problema, invece, significa concentrarsi principalmente su quest’ultimo aspetto, oppure, se il problema è irrisolvibile, su cosa fare per sopportare o ovviarne le conseguenze.

La ricerca di questi ultimi anni nell’ambito della psicologia clinica ha evidenziato come le donne siano più propense degli uomini a ruminare e come potrebbe esistere persino un “gene della ruminazione”, cioè una predisposizione genetica a ruminare.
Ha dimostrato, inoltre, come la ruminazione sia un processo di pensiero presente in molti disturbi mentali, tra cui i disturbi d’ansia, i disturbi alimentari e, appunto, i disturbi dell’umore (depressione), ma riscontrabile anche nelle persone “sane”; nel linguaggio comune si parla di “macchinare”, “macinare con la testa”, “scervellarsi” o “arrovellarsi”.

La differenza tra coloro che sviluppano un disturbo e quelli che mantengono un sano equilibrio sta nel fatto che i primi trascorrono molto più tempo e dedicano molte più energie mentali ed emotive a questo genere di attività, amplificandone i suoi effetti negativi e restandone inconsapevolmente vittime; i secondi, invece, dopo un lasso di tempo ragionevole, si rendono conto dell’inutilità di questo processo e lo abbandonano, o per tornare a concentrarsi sulla ricerca di una soluzione concreta praticabile o per dedicarsi ad altre faccende più gratificanti o produttive, se si accorgono che si tratta di un problema senza soluzione.

Per distinguere le due forme di attività mentale si usano modi di dire diversi: alcuni proverbi popolari sintetizzano l’inutilità della ruminazione con frasi tipo: “Non piangere sul latte versato”, “Metterci una pietra sopra”, “Del senno del poi sono piene le fosse”, ecc. Altri invece affermano che “La notte porta consiglio” o che è meglio “Pensare prima di agire” per evidenziare l’opportunità di ragionare sulle cose.

La cattiva abitudine di ruminare permane anche al di fuori degli episodi depressivi conclamati e costituisce uno dei fattori predisponenti alle ricadute insieme allo stile attributivo depressivo.

Tratto da: SUPERARE LA DEPRESSIONE – Un programma di terapia cognitivo-comportamentale di Daniela Leveni, Paolo Michielin, Daniele Piacentini